lunedì 28 aprile 2014

La nanotecnologia dell'antico Egitto


Le piramidi d’Egitto e del Sud America
erano grandi centrali per produrre energia?
 

L'alone di mistero che circonda le grandi piramidi d'Egitto e dell'America precolombiana sembra essere impenetrabile all'archeologia convenzionale. Nuovi studi condotti da ricercatori prestati all'archeologia rivelano sorprendenti aspetti che fanno ritenere che sofisticatissime tecnologie fossero largamente in uso presso le culture di epoche da noi ritenute primitive.


La tesi normalmente normalmente divulgata e da tutti accettata è che il progresso delle civiltà si sia evoluto da uno stadio primitivo ad uno più avanzato.
Eppure, se si esce dalla prospettiva “evoluzionista” e si analizzano senza pregiudizi alcune opere maestose del passato, si scopre che questo paradigma è sempre applicabile.

Nuove scoperte sulle piramidi dell’antico Egitto e dell’America Precolombiana indicato come branche della scienza, come l’elettricità, l’elettrochimica, l’elettromagnetismo e la metallurgia, fossero utilizzate in maniera considerevole dagli antichi.
La batteria di Baghdad mostra come gli egizi conoscessero e utilizzassero ampiamente la corrente elettrica, e i bassorilievi del Tempio di Dendera, scoperti dall’archeologo francese Auguste Mariette nel 1857, rivelano che questa fosse utilizzata anche per l’illuminazione, difatti nessun segno di fuliggine è mai stato trovato nei corridoi delle piramidi o delle tombe dei re perché queste aree venivano illuminate con energia elettrica.

Nel lavoro di diversi importanti ricercatori figura quello di Christopher Dunn, un ingegnere meccanico inglese, che nel suo libro The Giza Power Plant: Technologies of Ancient Egypt afferma che la Grande Piramide di Giza fosse utilizzata come centrale elettrica wireless, sul modello delle intuizioni di una delle più grandi menti del secolo scorso: Nikola Tesla.

Le conclusioni sorprendenti di Dunn fanno apparire la teoria dell’egittologia tradizionale (secondo la quale la Grande Piramide è stata costruita con utensili in rame da una società che non aveva la ruota) piuttosto sciocche! L’ingegnere parte propria dalla grande complessità e precisione della costruzione di Giza, per poi giungere a proporre la sua teoria dagli indizi raccolti sul campo.

Quella che ne viene fuori è una teoria che dipinge la Grande Piramide come una macchina straordinaria, capace di produrre energia utilizzando la Terra come fonte, la scienza acustica e la chimica. La teoria che Dunn chiarisce lo scopo di tutti i passaggi e le stanze all’interno della struttura piramidale.

In maniera molto sintetica, Dunn teorizza che le vibrazioni naturali della Terra provocassero una risonanza armonica in grado di ricavare idrogeno prodotto nella Camera della Regina attraverso la ionizzazione di una soluzione di acido cloridrico diluito e cloruro di zinco idrato. L’idrogeno veniva canalizzato nella Camera del Re attraverso la Gran Galleria e qui convertito in microonde.


 Lo studio di Michel Barsoum 

A dare credito all’ipotesi di Dunn ci sono le recenti scoperte di Michel Barsoum. Anche in questo caso si tratta di un ricercatore prestato all’egittologia e quindi libero da pregiudizi e dai dogmi dell’archeologia convenzionale. Barsoum, infatti, è un illustre professore presso il Dipartimento di Scienza dei Materiali e Ingegneria della Drexel University.

Come racconta livescience.com, un giorno Barsoum ricevette la telefonata inaspettata di Micheal Carrell, amico di un collega in pensione, per fargli alcune domande sui misteri che circondano la costruzione delle piramidi di Giza.
Secondo Carrell, i misteri erano stati risolti da Joseph Davidovits, direttore dell’Istituto di Scienze dei Materiali Geopolimeri di San Quentin, in Francia, più di due decenni fa, rivelando che le pietre delle piramidi erano state realizzate con una forma molto precoce di calcestruzzo composto da una miscela di calcare, argilla, calce e acqua.

“È stato a questo punto della telefonata che io scoppiai a ridere”, racconta Barsoum. “Se le piramidi sono state effettivamente costruite così, qualcuno avrebbe potuto dimostrarlo al di là di ogni dubbio passando poche ore al microscopio elettronico”. Si è scoperto che nessuno aveva mai dimostrato la teoria.

Barsoum decide di imbarcarsi nella ricerca e un anno e mezzo più tardi, dopo le osservazioni al microscopio a scansione e altri test, cominciò a trarre alcune conclusioni sconcertanti sulle piramidi. Le osservazioni erano effettivamente coerenti con l’idea del calcestruzzo, ma il legame del cemento calcareo era con il biossido di silicio e ricco di magnesio silicato.

Inoltre, le pietre del rivestimento esterno e interno della piramide mostravano entrambe una struttura amorfa, cioè i loro atomi non erano disposti in una struttura regolare e periodica. Lo stato amorfo, in qualche modo intermedio tra il solido e il liquido, è poco frequente in natura, quasi assente: la maggior parte dei solidi sono naturalmente cristallini e le loro molecole sono disposte con un ordine a lungo raggio che definisce un reticolo cristallino.

“È molto improbabile che le pietre del rivestimento interno e esterno che abbiamo esaminato siano stati ricavati da un blocco di calcare naturale”. Più sorprendentemente, Barsoum ha poi scoperto la presenza di sferule di biossido di silicio su scala nanometrica (con diametri nell’ordine di miliardesimi di metro), fatto che conferma ulteriormente che i blocchi non sono di origine naturale.
“È ironico che intere generazioni di egittologi e geologi siano stati ingannati dai blocchi, realizzato in maniera così fedele da sembrare calcare naturale”, spiega Barsoum. “Gli antichi egizi sapevano produrre nanotecnologie”.

Gli egittologi devono costantemente confrontarsi con domande senza risposta: come è stato possibile posizionare blocchi in modo così perfetto che nemmeno un capello può esservi inserito? E se tali blocchi sono stati scolpiti con strumenti di rame, perchè non è mai stato trovato nessuno scalpello sulla piana di Giza?

La ricerca di Barsoum sembra rispondere, almeno in parte, a queste domande, anche se, come tutti i grandi misteri del passato, alcune questioni rimangono aperte: come è stato possibile agli antichi egizi trasportare a metà della Grande Piramide blocchi di granito pesanti più di 70 tonnellate? “Ironia della sorte, questo studio di antiche rocce non riguarda il passato, ma il futuro”, conclude Barsoum.
 


La “mica” di Teotihuacán 

Le indagini archeologiche eseguite sul sito di Teotihuacán, Messico, hanno portato alla scoperta di un esteso uso di “mica” da parte dei costruttori del sito, un minerale presente solo in Brasile, a 5 mila km di distanza.
I fogli di mica sono stati probabilmente trasportati per migliaia di chilometri. Perchè avrebbero dovuto farlo? E perché la mica è stata trovata in tutti gli edifici di Teotihuacán, nei templi, nei complessi abitativi e lungo le strade, praticamente dappertutto? Ovviamente non per decorazione, dato che non è visibile dall’esterno.

La mica ha alcune proprietà elettriche che la rendono un buon isolante. Viene, infatti, utilizzata anche come isolante elettrico in apparecchiature ad alta tensione. Essendo resistente al calore, la mica viene utilizzata per produrre finestre di forni e altri sistemi riscaldanti. Viene anche utilizzata per isolare i conduttori elettrici in cavi antincendio. Nei forni a microonde sottili mascherine di mica ricoprono il vano del magnetron.

I costruttori di Teotihuacán devono aver avuto un motivo molto preciso per usarla e, a parere di molti ricercatori, è che faccia parte di qualche tecnologia a noi sconosciuta.

All’inizio del secolo scorso, sia nella Piramide del Sole che in una sala sotterranea del Tempio distante un chilometro, gli archeologi hanno rinvenuto grandi quantità la mica, la quale fungeva da rivestimento per il pavimento e per il soffitto. Oggi il Tempio, detto appunto della Mica, non è accessibile al pubblico.

C’è un tunnel che congiunge il Tempio della Mica alla caverna che si trova sotto la Piramide del Sole (anche l’accesso a questa via sotterranea è interdetto), con diverse intercapedini secondarie sia a destra che a sinistra. È possibile che la sala sotto il Tempio della Mica contenesse qualche strumento che producesse energia per gli edifici del sito, come una sorta di centrale elettrica? Se così fosse, significa che i tunnel servissero da rete elettrica che connetteva l’intera città?


 

Secondo i teorici degli Antichi Astronauti, l’utilizzo della mica potrebbe essere stato dettato anche da uno scopo più ‘protettivo’. La Nasa, ad esempio, utilizza la mica sul dorso degli shuttle per far deflettere il calore prodotto dall’attrito nel momento del rientro in atmosfera, perfetta per questo scopo. È possibile che la mica sia stata utilizzata per proteggere le installazioni di Teotihuacán dal calore prodotto da un qualche tipo di velivolo non terrestre? 

A prescindere da quello che si vuol credere, viene da chiedersi da dove venissero queste conoscenze così avanzate in possesso degli antichi egizi e dei costruttore dell’America precolombiana. I racconti mitologici di entrambe le culture narrano di antichi dei discesi dal cielo su navi o serpenti alati, tradizioni che vogliono, ad ogni modo, dire che in quei luoghi è successo qualcosa di straordinario. 

Fonte:
http://www.ilnavigatorecurioso.it

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